IL TIMIDO GALDINO E L'INCORRUTTIBILE GIURIA
Tratto da "I Magnagatti" di Vincenzo Scapin
Galdino è incontentabile. I suoi clienti hanno appena finito di mangiare e lui è già davanti al loro tavolo a chiedere se i cibi e le bevande sono state di loro gradimento. Punta gli occhi stretti a fessura sui piatti per una definitiva conferma. Se non vi sono tracce vistose di cibo abbandonato, tutto è filato via liscio, la sua cucina non ha tradito. Galdino è figlio d'arte, sua madre Isetta gli ha insegnato i primi rudimenti dell'arte culinaria. Non ha mai frequentato le scuole alberghiere, ne avuto l'opportunità di essere esaminato da professori inflessibili che valutassero, biasimassero o lodassero la sua opera ai fornelli. Allora lui si è scelto il più numeroso, eterogeneo corpo giudicante al di sopra di ogni sospetto, una giuria che non si potesse corrompere, dei probi viri che si alternassero continuamente in questo tribunale: i suoi stessi clienti. Sono anni che Galdino con il suo incedere dondolante, di chi è abituato a lunghe fatiche, si avvicina al tavolo dei suoi commensali per essere esaminato. Il rito del giudizio fa ormai parte delle tradizioni della casa, e il giudicando si presenta sempre con la faccia serena alla cerimonia che, per quanto ripetuta, non perde mai di sincerità. La famiglia Gianesin opera da cinquant'anni (ad oggi sono 63 n.d.r.) a Pederiva di Grancona. Il padre, dopo l'avventura in Africa come sergente in infermeria e attendente di un generale, era tornato a casa ed era stato assunto in comune come fìduciario dell'ufficio di collocamento del comune con 500 lire di paga mensile. Mentre se ne stava ancora nel continente nero gli era arrivata la notizia della nascita del figlio primogenito. Pieno di gioia lo aveva confidato al generale che lo onorava della sua familiarità. "Chiamalo Galdino", gli aveva suggerito l'erudito superiore. Il combattente aveva subito risposto "signorsì" e il nostro si trovò battezzato con un nome di manzoniana memoria. Il padre non si era accontentato dell'impiego comunale e aveva fondato una cooperativa, dove si vendeva zucchero, caffè, baccalà, aringhe, si mesceva vino e si poteva giocare alle carte. Più tardi, l'irrequieto fìduciario acquisterà anche una licenza di osteria cui affiancherà un vero e proprio negozio di generi alimentari senza possederne il permesso...
...Aprirà questa sua nuova attività nella prima fetta di casa che gli riuscì di costruire, e dove adesso ha sede una parte della trattoria "dalla Isetta ". In quel paese della Val Liona, all'epoca regna la miseria e la fame. Gli uomini per portare a casa qualche palanca scavano torba che sarà venduta a Brescia, a Milano. Si incomincia anche a costruire case in muratura, il conte Costozza impietosito da tanta povertà, presta cavalli e carretti per trasportare sabbia, calce e sassi. Galdino è già un ragazzotto e diventa un bravo carrettiere. Gli piace immensamente questo mestiere, i cavalli diventano la sua grande passione. Nel '54 spinto dalla necessità di incrementare i guadagni per essere d'aiuto alla famiglia abbandona i cavalli e inizia una nuova esperienza come camionista. Trasporta legna da ardere, da opera, sabbia ferrosa tra Bolzano, Roma e Napoli. I viaggi sono massacranti, durano in media quindici giorni. Quando ritorna a casa consegna la busta paga alla madre che deve saldare i debiti. Il padre del camionista aggiunge alle quasi licenze possedute, quella di macelleria. L'impegno è troppo gravoso per la povera Isetta, e Galdino da l'addio al camion e diventa macellalo. È difficile vendere la carne, in campagna ci si arrangia con le galline, il maiaie - II giovane macellaio confeziona i pacchi con dentro il necessario per il brodo o lo spezzatino e si piazza davanti alla chiesa di Zovencedo aspettando le donne che escono da messa. Sono pur sempre affari magri, si vendono i quarti davanti, le ricche cosce prendono la strada della città. Nel '60 un vento fortunato investe casa Gianesin. È appaltata la strada Brendola-Orgiano, gli operai mangiano e dormono nella trattoria "dalla Isetta". Galdino, tutti i mezzogiorni con la giardinetta porta il pasto nel cantiere. Questi guadagni appianano i debiti, in famiglia si comincia a respirare. Intanto il boom economico comincia a farsi sentire, la gente frequenta le osterie e le trattorie di campagna dove vengono serviti bigoli, lasagne, pollo in umido, faraone al forno, spiedi di uccelli. In occasione delle sagre paesane si fanno affari d'oro. Sempre nel '60, nel giorno della festa della liberazione Galdino si sposa con la Guerrina che andrà subito in cucina ad aiutare la suocera...
...Nel '76 muore la Isetta tra la disperazione di tutta la famiglia. Galdino da solo non può reggere tutti gli impegni, vende la macelleria e si occupa della trattoria che mantiene il nome della madre'. Passa orgoglioso tra i tavoli mostrando immense costate, frutto della sua profonda esperienza di macellalo. Ma Galdino si sente un cuoco a mezzo servizio, padroneggia le carni, ma sente che la sua cultura gastronomica è lacunosa. I suoi colleghi dei Berici organizzano serate con menu sofisticati, e lui non ha l'ardire di mettere la testa fuori dalla porta di casa. Teme che lo accusino di andare a copiare. Intanto i clienti cominciano a crescere, finché nel 1980 lo sconosciuto, il timido Galdino viene scoperto dalla guida Michelin. Questo riconoscimento gli fa scomparire tutti i complessi di inferiorità: è sempre più orgoglioso della sua cucina semplice, sfrutta appieno la sua grande esperienza di macellaio, il suo passaggio tra i tavoli con il piatto ovale sul quale è adagiata una costata degna di un cow-boy è una marcia trionfale. Veronelli scopre i vini di Lazzarini che apre la sua cantina a pochi passi "dalla Isetta". Va a mangiare nella trattoria, ne rimane entusiasta, tanto da scriverne su Panorama. Ora con Galdino collaborano le sue figliole, i loro mariti, ma è sempre lui ad uscire in sala barcollando leggermente come un pinguino a guardare se nei piatti ci sono degli avanzi sospetti. Inalbera sorridente la toque che gli fascia la testa e lo ingigantisce. Gliela hanno imposta battendogli le mani, i clienti che continuano ad affollare il suo locale. E che non si stancano di assolverlo. Lui, cuoco autodidatta non solo ha le carte in regola in cucina; ha anche creato una immensa cantina scavando nel cuore di un monte incombente sulla sua casa, ricca di migliala di bottiglie rare. Talvolta ama condurre i suoi clienti in questa enoteca dall'atmosfera irreale, dove Palladio avrebbe potuto scavare le pietre per qualche suo palazzo. Non per sdebitarsi dei loro giudizi, ma perché sognino con lui, cuoco autodidatta ora baciato dal successo, appassionato carrettiere, e guidatore di camion in gioventù, macellaio, che esitava la sua mercanzia davanti alla chiesa di Zovencedo e che si è meritato un posto nella Michelin, senza elemosinare favori da nessuno. E senza mai trescare con le mode culinarie.
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